Attivare e fermare il movimento. Sempre.

Da sola, a casa.

Mi trattengo al tavolo della cucina dopo aver mangiato un pranzo fortunatamente diverso da quello dei giorni precedenti. Fuori c’è il sole, il cielo è terso e in lontananza gli uccellini cinguettano tra loro in una delicata discussione che mi esclude e diverte.

Da anni il 26 dicembre non compare nel mio personale calendario; questo mi ha permesso di andare a correre ben oltre gli orari a cui sono abituata, fare una lunga doccia e attardarmi a sfogliare i giornali di moda in previsione dell’apertura dello stomaco, satollo dai pasti precedenti.

Il silenzio in cui è immerso il quartiere genera in me stupore: se non indossassi un maglione sopra diversi strati più o meno pesanti potrei immaginare che è un pomeriggio di una domenica d’agosto.

Credo sia il primo Santo Stefano trascorso così, in solitaria e in solitudine. Ma va bene: la contemplazione delle piccole cose aiuta la comprensione delle più grandi questioni.

In attesa di tempi migliori, come direbbe mio padre – in un futuro che sembra non esser mai all’altezza delle sue aspettative – lavo i piatti e inforco la bici.

Perché vivere non è attendere, vivere è muoversi. E io farei bene a ripetermelo più spesso.

Marcel Duchamp - Ruota di bicicletta, 1913
Marcel Duchamp – Ruota di bicicletta, 1913

Chiudo così la mia giornata, in sella.

Nel 1913 Marcel Duchamp butta sella, telaio e pedali salvando solo ruota e forcella. Le mette su uno sgabello e realizza il suo primo ready-made.

Sarà incipit e anticipazione di quel folle e profetico “gioco” chiamato Dadaismo.